di Giovanni Firera
Il film cresce con passo sicuro, trova ascolto, conquista lentamente lo spettatore e racconta una storia profondamente italiana: la nascita di un talento musicale attraverso l’incontro con Antonio Vivaldi, emblema di un patrimonio culturale che continua a parlare al presente. La vicenda ruota attorno a Cecilia, figura immaginaria interpretata da Tecla Insolia, giovane musicista che vive e suona all’Ospedale della Pietà, l’istituzione veneziana dove insegnò Antonio Vivaldi, qui incarnato da Michele Riondino. Un luogo che per secoli accolse ragazze senza famiglia: orfane, figlie della miseria, di cortigiane o di relazioni clandestine con uomini dell’aristocrazia.
In Primavera il titolo allude meno alla celebre partitura vivaldiana che a un’idea simbolica di risveglio e liberazione. La scelta musicale evita volutamente le pagine più note e luminose: prevalgono sonorità introverse, attraversate da una malinconia dolorosa, capaci di restituire la dimensione più umana del compositore.
Il Vivaldi che emerge è un uomo inquieto e vulnerabile: sensibile, irrequieto, segnato dal mancato riconoscimento, fragile nel fisico e ripiegato su se stesso. Un solitario, sacerdote senza una vocazione autentica, più attraversato dal tormento che dalla gloria. Nel racconto lo incontriamo a trentasei anni, quando Antonio Vivaldi fa ritorno all’Ospedale della Pietà, dove aveva già insegnato in passato. «Di lui sapevo pochissimo – racconta Michele Riondino – anche perché la sua figura è stata davvero riscoperta solo nel Novecento, dopo un lunghissimo periodo di oblio, nonostante fosse stato uno dei compositori più imitati e copiati della sua epoca».
L’immagine stereotipata lo dipinge come libertino e ossessionato dal denaro. Il film sceglie invece un’altra strada: Vivaldi inseguì sì successo e riconoscimento, ma lo incontriamo in un momento di sconfitta, dopo il fallimento come impresario. Ed è proprio questa caduta a renderlo più vicino, più umano, nei desideri e nelle frustrazioni. Non è un vizioso né un seduttore, non è alcolizzato né erotomane, e nella storia non c’è alcuna relazione sentimentale con Cecilia. Il suo potere non è quello dell’uomo sulle donne, ma quello del musicista sulle interpreti: esercita un dominio artistico sulle giovani dell’istituto, future protagoniste della prima orchestra femminile d’Italia, trattandole come strumenti da accordare e perfezionare.

