Norimberga: Russell Crowe e Rami Malek di fronte all’origine del male - TORINO+

Post Top Ad

 


Post Top Ad

mercoledì 31 dicembre 2025

Norimberga: Russell Crowe e Rami Malek di fronte all’origine del male

 di Giorgio Firera 


Da meno di due settimane il pubblico ha l’occasione di godere dell’uscita della più recente fatica del regista James Vanderbilt; il suo Norimberga ha superato entro l’ultimo giorno del 2025 la soglia dei 29 milioni e mezzo, di cui 3,7 incassati nel nostro Paese, attestandosi come uno dei film storici di maggior successo per Sony Pictures Classics. Può altresì farsi vanto della superba interpretazione di un Russell Crowe in stato di grazia, perfettamente calato sotto aspetti fisici e comportamentali di Hermann Göring, e di un Rami Malek che brilla portando in scena la perspicacia dello psichiatra militare Douglas Kelly. Sono costoro, attori e personaggi interpretati, che reggono il film sulle proprie spalle e realizzano un’opera superba, per ritmo e intensità interpretativa, giustificando pienamente alcune piccole inesattezze storiche, sottolineando più volte la non eccezionalità dei malvagi.


Ho trovato tuttavia utile, piuttosto che unirmi al mero elogio corale, andare a paragonare questa ottima pellicola con quella altrettanto ben realizzata al sorgere del nuovo millennio, dove Brian Cox impersonificava il gerarca nazista e Alec Baldwin il Procuratore Capo Robert H. Jackson, trovando che le differenze più sostanziali sono sussumibili in due nature.


La prima, sostanziale, differenza concerne l’oggetto centrale della pellicola, individuabile nel rapporto sopracitato per la più recente e nel Processo di Norimberga in sé per la seconda. In ambedue si sottolinea come tale procedimento giudiziario, oltre ad essere il primo della storia, fosse del tutto eccezionale, giacché mai prima d’allora si era proceduto a processare criminali di guerra al di fuori della giurisdizione di una nazione. Se nel 1921, con il Processo di Lipsia, erano stati processati alcuni soldati e ufficiali tedeschi, come parte delle sanzioni imposte al Governo tedesco nel Trattato di Versailles, il rifiuto di processare soldati intestatizi da parte dei vincitori e l’esiguità delle pene inflitte da parte dei vinti lo avevano fatto considerare una farsa da ambo le parti. Per bocca di Michael Shannon, interprete del Capo Procuratore nella pellicola recente, si spiega come un processo internazionale, e non la mera fucilazione, sia necessario per non dare un’ulteriore umiliazione al popolo tedesco ed evitare che tali individui diventino martiri. È altresì apprezzabile come, oltre a citare le Leggi di Norimberga, tale conversazione si tenga nello Zeppelinfeld, dove nel Reichsparteitag del 1935 esse furono promulgate.


Il processo dà modo di avere uno spaccato della società nazista, portato alla sbarra degli imputati con Hermann Göring. Ciascuno è a vario titolo e per diverse condotte accusato in quell’aula e lo stesso interrogatorio di Rudolf Höß, primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz, permette di dare uno spaccato della società nazista. Questi, in particolare, come nel reale processo, rispose con freddezza disarmante alle domande che gli erano poste, discutendo con calma dell’organizzazione del campo di Auschwitz e delle strutture impiegate per portare a termine il compito assegnatogli da Himmler.


La celebre giustificazione del “mi è stato ordinato, non potevo rifiutarmi” anticipa la “banalità del male” di Adolf Eichmann. Tale impostazione permette di dare maggior peso alla figura di Albert Speer, quasi un contraltare per il Reichsmarschall, un nazista con un barlume di coscienza.


La seconda differenza è rapportabile al mutamento del contesto sociale. Nella pellicola più risalente si fa menzione del Mandato Britannico di Palestina e delle tensioni legate al movimento sionista, osservando che “dopo quello che hanno subito in questi dieci anni, non mi meraviglio che vogliano una patria”.


Sempre frutto del mutamento della sensibilità dell’Occidente è l’omissione di un dato cruciale: le venti milioni di vittime, di cui la metà civili, patite per opera dei nazisti. Centrale, nella pellicola del 2000, è la figura del generale sovietico Iona Nikitčenko, portatore di una visione opposta del concetto di giustizia.


Parimenti rilevante è il confronto sui pregiudizi razziali, dalla segregazione negli Stati Uniti al trattamento dei nippo-americani. In ultimo, ambedue i film pongono lo spettatore davanti ai filmati originali dell’Olocausto, fugando ogni dubbio sull’ignoranza dei vertici nazisti, fino alla domanda finale:
come potevi non sapere della progettazione di 1200 mattatoi umani, creati solo per lo sterminio di un popolo?”


Ambedue le opere riescono così a risvegliare dal torpore lo spettatore, offrendo due prospettive diverse ma egualmente efficaci su una delle più turpi barbarie della storia, nella speranza che simili eventi non possano più ripetersi.



Post Top Ad